Inventing Anna, la serie drammatica prodotta da Shondaland, creata da Jessica Pressler e Shonda Rhimes per Netflix, è iconica quanto il suo modello: l’intramontabile Murder, she wrote.


Ed eccoci qui, come sempre ci si ritrova a dire “eh brava Shonda”, già, perché puoi essere anche la showrunner numero uno al mondo ma questo non significa in automatico che tu possa appropriarti di un modello tanto cult quanto fenomenologicamente e ontologicamente indispensabile come La signora in giallo.

E non solo te ne appropri, ma lo dichiari dal pilota, e fai bene a farlo, perché la consapevolezza del confronto con un gigante tanto granitico, impone una severità di giudizio più raffinata sin da subito, un’attenzione diversa: lo devo a me e alla mia adorata generazione Y.


Scherzi a parte, semplicemente, ne sono estasiata.
Vedere Jessica Fletcher nello schermo del televisore del carcere, esattamente al minuto 16,00 quando Vivian – giovane e rampante giornalista, desiderosa di migliorare la sua reputazione rovinata da un precedente articolo clickbait- sta per incontrare Anna Delvey per entrare nella sua vita oltre che nel nostro cuore, è pura meraviglia.

Sono sincera, mi è bastato questo momento per gridare “genio, genio vero”, e farmi salire un elevatissimo livello di aspettative in crescendo.


Chi è Anna Delvey, chi è Anna Sorokin? È solo una semplice “dumb socialite” o c’è qualcosa di più da capire e scoprire?

A questo risponde la trama, a questa missione è chiamata Vivian Kent, la signorina in giallo che aderisce da subito agli standard imposti dalla nostra amata regina dei meme.
Aderisce in primo luogo attraverso agli outfit – quelli, per altro, di una donna incinta – che non sono proprio perfettamente in linea al caso da risolvere e che, ecco, diciamo vanno per conto loro: infatti è un aspetto che Anna le critica dal primo momento in cui la vede.


In secondo luogo, come la saga impone, tutto si origina dal dubbio nella mente della protagonista: una semplice dumb socialite non avrebbe potuto ingannare banche, banchieri ed entrare in contatto con nomi altisonanti della finanza newyorkese… “deve esserci di più”.

Ecco il vero propulsore narrativo che conduce inevitabilmente Vivian a inabissarsi, puntata dopo puntata nella vita di Anna Delvey, leggendaria erede tedesca ventiseienne di Instagram che, oltre a rubare i cuori dei protagonisti della scena sociale di New York, ruba anche i loro soldi.


Anna è la più grande truffatrice di New York o è semplicemente il nuovo ritratto del sogno americano? In attesa del processo a suo carico, la finta ereditiera forma un oscuro e divertente legame di amore e odio con Vivian, che sfida il tempo per risolvere il più grande mistero che affligge New York: chi è davvero Anna Delvey?

E poco importa se alla fine Vivian avrà ragione o meno, quel che conta è che, in ogni caso, non avrà torto.


Nel tentativo di creare un articolo completo che dia una dignità letteraria ad Anna, la quale soffre per il fatto che la sua opera nel sogno di creare un club elitario d’arte, possa essere scambiata per quella di una socialite qualunque, Vivian cerca di riprendersi anche la sua, quella che le è stata sottratta. Affrontando diversi mostri e moltissimi demoni, incontra tutte le persone coinvolte nel caso.


Instaura un bel rapporto con l’avvocato Todd, impara a conoscere le amiche tra cui la trainer Kacy, Neff Davis, la receptionist aspirante regista sempre pronta a coprire le spalle ad Anna e a inserirla nelle liste degli appuntamenti più cool della città.

Conosce poi la più arrivista Rachel, affrontando anche Alan, Chase, Talia e Nora, ma trovandosi spesso sola, a fare i conti con la propria mente, un ragioniere bugiardo che però mostra il tema centrale della serie: c’è qualcuno che può ritenersi estraneo all’apparire, quanto siamo disposti a offrire di noi al mondo in termini di immagine, pur di sembrare qualcosa che non siamo? Quanto siamo esclusi da questo meccanismo? Chi non ha mai gonfiato il proprio CV? Chi non ha mai messo un filtro Instagram su una sua foto?


Vivian, ha un disperato bisogno di Anna e di raccontare questa storia e non ne fa mai mistero. Un articolo dettagliato su Anna le è utile in termini mediatici al fine di risollevarsi da un intoppo di carriera che le causa la posizione in “scriberia”, l’angolo della redazione dove veri e propri meravigliosi boomer spolverano i loro Pulitzer e sono sempre disposti ad aiutarla per il puro amore della scrittura e della verità, incarnando, va sottolineato, gli unici veri personaggi puri della serie.


Ma per andare fino in fondo a questa storia, persino dopo avere scritto il pezzo, Vivian si mette sulle tracce dei genitori di Anna; prende un aereo con una neonata a casa e parte verso la Germania per incontrare il padre russo, Vadim, di cui Anna fornisce un po’ troppe versioni in merito alla sua identità, per cercare di stabilire una volta per tutte chi sia davvero.


Un momento narrativamente estraniante che però mi fa tornare a pensare alla nostra amata Fletcher e quanto meno a sorridere di fronte a una scelta forse un pochino tirata, ma a cui Shonda ci ha spesso abituati e che caratterizza la sua cifra, grazie a una dose di cinismo che però ha sempre ottime ragioni al fine di rappresentare la volontà auto-determinante del femminile. E inter nos: “Menomale”, visto che il 90% degli sceneggiatori si sarebbe fermato alla scrittura del pezzo, al parto e al lieto fine blah.


Un momento narrativamente estraniante che però mi fa tornare a pensare alla nostra amata Fletcher e quanto meno a sorridere di fronte a una scelta forse un pochino tirata, ma a cui Shonda ci ha spesso abituati e che caratterizza la sua cifra, grazie a una dose di cinismo che però ha sempre ottime ragioni al fine di rappresentare la volontà auto-determinante del femminile. E inter nos: “Menomale”, visto che il 90% degli sceneggiatori si sarebbe fermato alla scrittura del pezzo, al parto e al lieto fine blah

E questa, piaccia o meno, ne è l’ennesima prova.