Qualcuno diceva che quando si scrive di donne bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle.
Chi se la sentirebbe di contraddire Diderot?
Devo dire che i prodotti seriali che m’incuriosiscono e affascinano, che sono in grado di dirmi davvero qualcosa, senza parlare di mille cose diverse, sono pochi; quelli che lo fanno, emergono sempre da chi, quella penna, la sa immergere nelle zone d’ombra e di confine, ma soprattutto da chi lo sa fare fino in fondo. Scovando la polvere, sì, ma quella nascosta negli angoli dell’animo umano.
Sto parlando di Molly Smith Metzler e della sua Maid, miniserie lead female di genere dramedy prodotta negli States e da ormai qualche mese disponibile su Netflix, tratta dal libro di Stephanie Land “Maid: Hard Work, Low Pay and a Mother’s Will to survive.”
Per me, è un esempio di serie ben scritta, ben concepita e realizzata; in grado di sviluppare un tema fortissimo nella sua labilità, anch’esso, come la vita della protagonista, al limite, e che tra i tanti argomenti messi in campo nelle diverse linee narrative, cresce in ogni episodio in modo magistrale.
La serie, in coming of age, vede una giovane donna decisa ad allontanarsi dal compagno per mettere in salvo sé stessa e proteggere la figlia dagli abusi di un padre alle prese con il demone dell’alcolismo; facendolo alle prime avvisaglie di violenza e questo è un punto di partenza fortissimo non solo per quanto riguarda l’argomento della violenza di genere, ma perché è un inizio epico.
Già, infatti gli ostacoli sono tantissimi: il conto in banca inesistente, un sistema assistenziale complesso da fronteggiare, un mondo che ti fa pagare l’insuccesso in tutti i sensi, che ti giudica, ti osserva in cassa al supermercato e ti fa sentire una persona di serie B se non hai in asse tutto ciò che se serve per essere una persona stabile, ma attenzione: stabile economicamente.
Così, per cercare di raggiungere la stabilità economica, conditio sine qua non per dimostrare di essere, in tutti i sensi, una persona stabile in grado di dare alla figlia e a sé stessa un’opportunità di futuro, Alex inizia a lavorare come donna delle pulizie per l’agenzia Value Maids; e se all’inizio è difficile arrivare anche solo in orario al lavoro senza mettere a rischio la propria vita e quella della piccola Maddy, a mano a mano lo sguardo che lei ha sulle cose assieme al suo modo di essere e percepire entrano in contatto con mondi alieni, a lei ma anche a noi.
Ma che cos’è la stabilità?
Ecco che il tema della serie emerge a mano a mano per elevarsi e fondersi a una trama molto ben strutturata. Infatti è soprattutto grazie al rapporto che Alex ha con la madre hippy e bipolare, quint’essenza dell’imprevedibilità, che capiamo quello che questa storia vuole dire, grazie alla presenza di un tema forte, bello, universale; caratteristica necessaria perché un’opera esista e di cui, troppo spesso, si sente la mancanza.
Ma andiamo avanti!
Maid produce ansia, un’ansia che cresce minuto dopo minuto soprattutto perché ci racconta un dato: spesso il primo tentativo per uscire da una condizione di abuso non è sufficiente al fine di liberarsi del proprio aguzzino, perché possono volercene anche sette.
Perciò, tra passi decisi in una direzione e altri fatti in quella opposta e nel clima emotivo d’incertezza in cui i personaggi sono immersi, con zone di battaglia nei rapporti familiari sempre pronte a rifiorire e capaci di celare le più grandi insidie, Maid porta alla luce con maestria il tema portante della serie: in che modo l’instabile può dare stabilità?
Si può essere felici senza stabilità?
In un momento storico in cui le serie della tipologia lead female sono fatte, ho la sensazione, più che per rispondere a temi esistenziali, per rincorrere un trand; Maid si eleva al di sopra del magma delle donne commissarie, poliziotte, avvocate in carriera o donne spietate e diaboliche su tacchi dodici, facendo di piccoli momenti quotidiani (anche mostruosi) dei propulsori narrativi in cui qualsiasi donna, qualsiasi essere umano, può rispecchiarsi.
Non ci sono meteoriti in arrivo, non ci sono pianeti da salvare ma piuttosto rapporti da costruire, assieme ad altri, invece, da recidere; immersi in una quotidianità ostacolante che, di fatto, assume tratti anche minacciosi e da cui si aprono spiragli importanti in merito alla riflessione sulla condizione della donna e a quella umana dell’oggi, e che riguarda tutti. Perché qualsiasi persona, a prescindere dalla sua estrazione sociale, ha a che fare con tutto questo.
Gli argomenti e il tema trattato, i dialoghi perfetti con la lente d’ingrandimento sulla solidarietà femminile assieme alla comprensione di un mondo impeditivo a 360°, le allucinazioni di Alex e la sua fantasia leggera – sempre ben calate nel dramma – pongono Maid nell’olimpo dei lead female scritti bene; ben orchestrati, ben fatti.
Maid è da considerarsi esemplare, soprattutto per chi, anche come me, scrive, produce serie televisive o cerca di farlo; ci ricorda che non bisogna per forza essere donne per scrivere questa tipologia di serie tv ma piuttosto essere bravi scrittori in grado di dominare un genere (che di certo non è il lead female) per farlo al meglio e, se possibile, essersi scontrati almeno una volta con una realtà ostacolante dalla quale devi riuscire a elevarti per trovare la tua voce e il tuo posto nel mondo.
Anche perché, per scrivere di donne, si dovrà anche intingere la penna nell’arcobaleno, ma per farlo bene, bisognerebbe saperla immergere nelle zone d’ombra e in quelle di confine, magari anche colore per colore.
Molly Smith Metzler lo fa benissimo.